La nascita di Stefano rese la nostra famiglia felice; era bello e, soprattutto, sano. Visse i primi anni della sua vita come tutti i bambini, ma a 10 anni fu ricoverato presso la Nefrologia Pediatrica di Padova: gli esami avevano dato segni d’allarme.
Stefano visse un mese e mezzo di ricovero, incredulo, smarrito ed impaurito, come tutti noi; era affetto da una malattia che gli aveva danneggiato i reni per sempre. Da allora la sua vita cambiò: una ventina di pastiglie e 4 controlli della pressione al giorno, un controllo ogni mese in Ospedale. I farmaci gli avevano trasformato il volto, stava perdendo i capelli, trovandosi totalmente diverso. Perse metà anno scolastico, ma poi riprese. Ricordo che, quando lo portavo in classe, le nostre mani erano unite per darci forza e coraggio, nella speranza di riprendere presto una vita normale. Con difficoltà si presentava a scuola e in parrocchia, dove spesso gli capitava di essere osservato per la sua diversità fisica. Ciò lo faceva molto soffrire.
Solo due anni dopo, in seguito ad un ulteriore ricovero, comprese che i suoi reni non avrebbero mai più funzionato, ma avrebbero avuto bisogno di un trapianto. Aveva solo 12 anni eppure mi disse: “Mamma so che non guarirò subito, ma non mi spaventa la dialisi e neppure il trapianto”. Da quel giorno Stefano divenne più forte e sicuro di sé. Entrò in dialisi e scelse la dialisi peritoneale, che si fa a casa per 10-11 ore, tutte le notti. Non poteva permettersi di cambiare orari, era legato alla macchina eppure, tutte le mattine, si alzava sorridente e contento per il nuovo giorno che Dio gli offriva.
Con lui tutti noi gioivamo, era bello vederlo sereno e, soprattutto, con lui avevamo imparato a vivere una vita semplice, senza grandi desideri e sogni, ma una vita apprezzata in ogni momento. Siamo certi che agli amici non ha mai voluto raccontare la sua vera vita per non rattristarli e per non essere compatito.
Dalla dialisi peritoneale Stefano dovette passare all’emodialisi, andando 3 pomeriggi ogni settimana in ospedale. Anche di fronte a questa novità Stefano non si arrese, ebbe la fortuna di avere un fratello pronto, che si offrì, anche a discapito dei suoi studi universitari, a portarlo in Ospedale e a stare con lui in quei pomeriggi. Era bello vedere l’amore di quei fratelli, c’era un incrociarsi di accettazione, donazione e tanto amore. Però la sua malattia, così aggressiva, non gli permetteva di entrare in una lista di trapianto.
Al compimento dei suoi 18 anni era euforico, stava preparandosi per fare la patente, sognava la Mini Minor, progettava il futuro, ma stava male fisicamente e, poco dopo, venne ricoverato in Terapia Intensiva. Per la prima volta dovetti lasciarlo trascorrere la notte da solo in Ospedale. Al mattino presto era tranquillo, scherzò con i medici. Ricordiamo tuttora due occhi sereni ed un cenno del capo in risposta al papà che gli chiedeva se era stanco. Così ci lasciò Stefano, con un sorriso.
Con Stefano si parlava molto, era molto sensibile e attento ai problemi degli altri. Un giorno disse: “Come deve essere triste per un cieco non poter vedere tutto ciò che ci circonda. Io sono fortunato: anche se vivo in dialisi posso vedere tutto”. Ebbene, quando ci informarono che Stefano poteva donare le cornee, capimmo che era arrivata la risposta a quella frase.
Racconto questa storia perché in ospedale ho conosciuto molti bambini e ragazzi che soffrono e spesso sono soli. Pensando al sogno di Stefano aumentate la vostra sensibilità, la vostra attenzione verso chi soffre, date la vostra amicizie e soprattutto diffondete la gioia del donare, donare il vostro sorriso a chi ha bisogno, donare un po’ del vostro tempo e, alla fine della vita, donare anche i vostri organi, così la vita avrà un immenso valore.
Grazie a tutti voi per averci ascoltato.
La mamma ed il papà di Stefano